4. Lo spettacolo - Libretto Huellas de tu ser

Libretto Huellas De Tu Ser - Impronte Del Tuo Essere

Programma dello spettacolo

Fandango de Huelva e Tango de Triana

Come abbiamo fatto ogni anno, riuniamo tutti i nostri ballerini sul palcoscenico, tutti insieme in un tango, senza suddivisioni per livelli, per capacità o per esperienza: il messaggio è che ognuno porta sul palco, nella sua danza, ciò che è, non ciò che sa fare. Per questo vedrete l’entusiasmo a tutti i livelli, non solo in chi è più esperto!

Lo spettacolo inizia con una processione, che è un nostro omaggio simbolico a tutte le processioni andaluse, una su tutte il famosissimo Camino del Rocío, che porta ogni anno al piccolo paese di El Rocío, frazione di Almonte, in provincia di Huelva, un milione di pellegrini che arrivano da tutta la Spagna, ma in generale le processioni per la Settimana Santa o per le ricorrenze religiose. Sono momenti di forte aggregazione, nei quali l’eredità culturale del popolo andaluso si riconosce in se stessa profondamente. E le impronte di ognuno restano nella terra che ha calpestato, e nella memoria di chi sta intorno!

Que bonito es el Fandango / al amanecer del día / en el silencio del campo / cuando voy de cacería / unos tragos de aguardiente / con agua de manantiales / ay! si supiera la gente / esos ratos cuanto valen.

Che bello è il Fandango / quando si fa giorno / nel silenzio della campagna / quando vado a caccia / mi pare di bere un sorso di acquavite / ma è acqua di sorgente / Ah! se la gente sapesse / questi momenti quanto valgono!

Godersi la vita nelle cose semplici. Non serve avere chissà quanto per star bene: serve solo mettersi in una condizione mentale adatta e… imparare a godersi la vita!

Una volta terminata la nostra processione, l’atmosfera cambia, per entrare nel Tango de Triana.

Triana è un quartiere di Siviglia, importantissimo nel flamenco perché era tradizionalmente il quartiere gitano. Si dice che i gitani vivessero lì fin dal loro arrivo a Siviglia, alla fine del 1400!

Nel 1749 Fernando VI ordinò di dare la caccia a tutti i gitani e tutti i maschi di almeno 7 anni furono portati a lavorare negli arsenali reali o impiegati a remare nelle navi reali, le galeras (in italiano “galee”) del non lontano porto di Cadice. Donne e bambini piccoli furono stivati in recinti, come ad esempio la città stessa di Carmona, in provincia di Siviglia, il tutto con la finalità di evitare l’espansione della razza gitana.

A questo si riferisce la nostra ultima strofa di Tango, che dice:

Mañana, mañana / los van a prender mañana / a to’ los ojitos negros / los van a prender mañana / y tú que negros los tienes / échate el velo a la cara.

Domani, domani / li vanno a prendere domani / tutti gli occhietti neri li vanno a prendere domani / e tu che li hai neri / buttati un velo in faccia.

Nella storia del flamenco, questo episodio fu molto importante, poiché i gitani che erano andati a Cadice avevano avuto contatto con gli schiavi africani, e portarono a Triana ritmi, musiche e movenze africane, lasciando come impronta il forte senso del ritmo del flamenco della zona (cosa che accade non solo con i gitani di Siviglia, evidentemente, ma con tutti quelli dell’area!).

Altra eredità di questo episodio storico della storia dei gitani furono i canti dei rematori delle galeras, che diedero origine ai vari cantes primitivi, cantati senza ritmo e senza accompagnamento musicale: tonás, martinetes, livianas (ascolteremo un cante por Liviana più tardi in questo spettacolo), carceleras.

Una volta finito questo periodo, i gitani tornarono a Triana e ricostruirono la loro vita, le loro fucine, i loro commerci e diedero origine alla comunità gitana più forte, importante e coesa di Spagna.

Per un paio di secoli, i gitani continuarono a fiorire a Triana, facendo crescere l’arte della corrida e ovviamente dando origine al flamenco. Però alla fine degli anni 50 del 900 il governatore di Siviglia, Hermenegildo Altozano y Moraleda, membro dell’Opus Dei, sostenuto dal potere centrale di Spagna e da quello locale del consiglio comunale della città, distrusse il quartiere gitano di Triana.

Ufficialmente il motivo era di separare i gitani per farli integrare al resto della popolazione, ma il vero scopo era una speculazione edilizia: costruire nuove abitazioni e muovere il mercato immobiliare della città, in una zona ormai divenuta molto centrale ed appetibile. I gitani risposero diventando assolutamente compatti, centrati nella loro etnia ed evitarono ancor più accuratamente i già rari matrimoni misti!

I gitani vennero dapprima stipati in capannoni e in baracche prefabbricate in diverse zone della città, e infine vennero confinate in un vero e proprio ghetto, Las Tres Mil Viviendas (letteralmente “le 3000 abitazioni”), un quartiere intero nel quale i gitani artisti e flamenchi vennero mescolati con altri gitani di cultura molto diversa, come i costruttori e venditori di ceste, e soprattutto con il mondo della droga (che fece un disastro di vittime), dell’alcol, della malavita locale (cose che a Triana non esistevano, perché i gitani trianeros si autocontrollavano fra loro!) e vennero emarginati, cosa che negò parte della cultura che portavano con sé e cancellò i loro mestieri tradizionali, di macellaio, di commerciante di bestiame, di fabbro, ceramista, costruttore di piastrelle, eliminando un luogo in cui tradizionalmente si coltivava il flamenco: il cortile intorno al quale vivevano tante famiglie, legate da vincoli di buon vicinato, che non conoscevano il furto, considerando le cose quasi come una proprietà di tutti, della quale tutti si prendevano cura.

A Triana non c’era delinquenza, nonostante la povertà, e neppure droga (forse giusto un po’ di hashish, influenza del commercio con il vicino Marocco). C’erano riunioni e feste, cante, senso della condivisione, dell’accoglienza, dell’eleganza e della rettitudine morale.

Il Tango è uno dei palos del flamenco più divertenti, più allegri, più scanzonati e più ritmati, che portano scherzosità, giocosità e voglia di muoversi. Abbiamo scelto di iniziare il nostro spettacolo con questo ritmo perché è proprio un inno all’entusiasmo e alla gioia di vivere. E ne abbiamo tanto bisogno, in questo momento storico! E di dedicarlo a Triana, con la sua “verità” che ha lasciato un segno profondo nella storia del flamenco.

Tientos

Il cante por tientos è caratterizzato da un’atmosfera molto romantica e gentile, delicata. Tiento significa cautela, tatto, ed indica il fare le cose con attenzione, con cura.

Si tratta di un tango lento e cadenzato, che si costruisce su una frase ritmica in 4/4 lenta, e gioca sulle note della cadenza andalusa, la sonorità tipica della gran parte dei palos flamenchi, quella che “ci porta subito in Spagna”!

Il cante nacque grazie all’opera del cantaor Enrique Jiménez Fernández (1848 - 1906) detto Enrique El Mellizo. Il Tiento è un cante molto amato ed interpretato da molti cantaores importanti nella storia del flamenco, come Antonio Chacón, Manuel Torre, e La Niña de los Peines, che probabilmente è la persona che maggiormente contribuì alla sua diffusione.

Si può dire che tutti i cantaores più importanti della storia del flamenco abbiano lasciato una loro impronta in questo bellissimo cante, ed esistono di conseguenza molte varianti nel cante por Tientos, cosa logica se si pensa che ogni cante che viene cantato da tanti artisti subisce evoluzioni, influenze, persino mode!

Il baile por Tiento storicamente è stato creato da un bailaor, Joaquín El Feo, al principio del ‘900 e porta in sé la brillantezza e la vivacità della zona di Cadice e dintorni.

Diversi flamencologi rivedono nella struttura e nella profondità del Tiento la forza della Soleá o della Siguiríya, esattamente come se si volesse portare il peso e la maestosità di questi ultimi dentro ad un ritmo più semplice, in 4/4.

Noi vi presentiamo due forme di letra, di strofa, e il brano si evolve in modo tradizionale, diventando più rapido ed allegro. Questo fenomeno, definito “cambio de sentido”, cambio di atmosfera, porta il Tiento a trasformarsi in Tango.

Il Tango ha stessa struttura musicale del Tiento, ma ha una velocità doppia. Nel nostro montaggio coreografico, abbiamo scelto di fare un finale ancora più veloce, in ritmo di rumba, in omaggio all’indimenticabile cantaor Camarón de La Isla, cantando un ritornello che questo artista rese famoso.

Solo di cante di Carlos Guillén Bulería por Soleá

La scelta di questo cante è perché ha qualcosa di speciale che Carlos ci vuole raccontare in questo momento.

Marianas

La Mariana è un canto simile ad un tango lento o ad un tiento. Non viene cantato molto spesso, non sappiamo per quale motivo perché in realtà è un cante molto espressivo. Parla di un argomento particolare, legato ad uno dei lavori tradizionali gitani: si riferisce ad un circense che viveva facendo spettacoli con una scimmietta, di nome, appunto, Mariana, che per lui era la vita, la sua famiglia, il suo sostentamento, l’affetto, la compagnia.

Le letras di Mariana si riferiscono spesso alla scimmia, e per estensione all’amore.

Parlando della Mariana si deve assolutamente ricordare il cantaor di malaga Juan Breva, El Niño de las Marianas, poi noto come el Cojo de las Marianas, cantaor che rese famoso questo cante.

Un altro cantaor storico aveva sempre la Mariana nel suo repertorio, Luis López, il padre del chitarrista Luis Maravillas, e per un periodo la Mariana veniva chiamata anche “il Tiento di Luis López”.

Bernardo de Los Lobitos, di Alcalá de Guadaíra, in provincia di Siviglia, fu un importantissimo cantaor, nato nel 1887, e all’inizio del novecento diede un impulso molto grande e all’interpretazione odierna della Mariana.

La Mariana ha una cadenza un po’ a metà strada tra il Tiento e la Zambra, con sonorità molto arabeggianti, e viene cantata in scala andalusa, come il Tiento.

Nel nostro montaggio coreografico, abbiamo voluto esaltare un argomento molto importante nella società tradizionale andalusa: il senso del gruppo, della famiglia, la complicità tra le persone, in particolare tra le donne, ricreando l’atmosfera del corral, del cortile, o dell’abitudine di sedersi fra familiari e vicini di casa a chiacchierare, a trascorrere il tempo insieme e scambiarsi idee sulla vita. E godersela!

Soleá de Alcalá

Si tratta di uno dei palos flamenchi più profondi, più originari, più antichi, ed è considerato proprio un pilastro del cante jondo, del cante flamenco più profondo, più antico e più espressivo.

Ha una melodia piuttosto semplice, da un punto di vista musicale: se la dovessimo scrivere su un pentagramma, sarebbe composta da una manciata di note ripetitive. Però è incredibilmente profonda e toccante, grazie al suo contenuto espressivo. Dal punto di vista interpretativo, la voce del cantaor ricama continue decorazioni che rendono il cante infinitamente espressivo.

Il baile por Soleá è molto statico, lento, molto maestoso, collegandosi proprio alla musicalità di questo palo. Anche dal punto di vista del baile, la Soleá è uno dei più emblematici della storia del flamenco: tutti i bailaores devono avere una Soleá nella loro esperienza di baile, e riunisce tutti gli elementi essenziali delle possibilità espressive e dinamiche del baile.

Si può dire che la Soleá rappresenti la quintessenza del cante flamenco. È basata su pochi elementi musicali, su un ritmo lento, composto di due parti eterogenee, una ternaria ed una binaria (1-2-3, 1-2-3, 1-2, 1-2, 1-2), sulla scala andalusa.

Il ritmo è una amalgama tra un ritmo di 6/8 è uno di 4/3, molto cadenzato, molto “seduto”, che esprime il concetto di trattenere, anche di sopportare le difficoltà e il dolore. Ad un certo punto, seguendo una necessità naturale, il dolore si esprime, e la musica si evolve verso una velocità maggiore, esprimendo l’ironia scanzonata della Bulería (pensando che il termine viene da burla… la Bulería, in questo contesto, non ha bisogno di molte spiegazioni!).

Questo non avviene soltanto nel nostro montaggio coreografico, ma è così che la storia del flamenco ha evoluto questo genere.

Il concetto che sta alla base della Soleá è quello del dolore della solitudine espressiva: la solitudine della Soleá non esprime la solitudine fisica, che peraltro non corrisponde alla cultura andalusa, in cui la famiglia e il vicinato sono davvero tanto presenti. Il dolore della Soleá è quello della incomunicabilità: nessuno mi può capire al cento per cento. Nessuno può realmente rendersi conto di che cosa sta succedendo dentro di me, della mia sofferenza.

Tutto questo, però, non viene detto per lamentarsene, ma viene denunciato come un dato di fatto!

La chitarra accompagna il cante in modo molto semplice, ripetitivo, ipnotico, con pochissime note, su cui la voce si appoggia. La potenza espressiva del cante, proprio perché la una linea melodica è molto semplice, ma ricchissima di melismi e decorazioni, viene esaltata al cento per cento e il cante por Soleá va diretto dentro al cuore dello spettatore.

Esistono tantissimi stili di Soleá, che è un genere flamenco in continua crescita, dato che si tratta di un cante molto interpretato, e moltissimi cantaores ne hanno fatte delle varianti.

Lo stile che abbiamo scelto è la Soleá de Alcalá (Alcalá de Guadaíra è un paese in provincia di Siviglia, situato a nord ovest della città) che è quella che normalmente viene interpretata nel baile flamenco ed è probabilmente lo stile di Soleá più lento in assoluto.

Liviana e Serrana

Jeromo Segura e i musicisti accompagnano Sabina Todaro al baile in una improvvisazione totale.

L’improvvisazione nel flamenco è resa possibile dalla conoscenza di schemi e codici di comunicazione, che permettono al bailaor di indicare le proprie intenzioni ai musicisti e di instaurare una vera e propria conversazione.

I membri del cuadro flamenco, non hanno nulla di preparato, nulla di creato, ma solo tanto cuore e tanta disponibilità di mettersi in gioco. Potrebbe venire benissimo, oppure malissimo! Solitamente la magia e così: a volte si crea e a volte no.

Diciamo che tutti possono dare un piccolo contributo per la buona realizzazione di ciò che vedrete sul palcoscenico: quanto più il pubblico sarà partecipe, attento e disponibile di cuore, e tanto più il pezzo verrà meglio.

Quindi puoi fare qualcosa per farlo riuscire meglio! Tutti staremo meglio e ci godremo la situazione.

La Serrana è un cante bellissimo, difficile, che richiede doti espressive e anche grandi capacità tecniche e per questo piuttosto poco rappresentato nella discografia flamenca. Appartiene al complesso generico delle Seguiríyas (o Siguiríyas).

Il cante por Serrana è solitamente preceduto dal cante por Liviana, con cui condivide il ritmo e la scala musicale, e rematado, cioè concluso, definito e terminato con una letra di macho (una letra quasi urlata, che richiede molta forza) di Siguiríya di Maria la Borrico. Questa sequenza è stata creata dal leggendario cantaor Silverio Franconetti (nato e morto a Siviglia 1831-1889), di origine italiana, considerato colui che pose i semi del cante flamenco, elevandolo al livello di musica da teatro accanto all’Opera Lirica.

La Serrana e la Liviana sono cantes antichi, appunto, e probabilmente all’origine erano cantati su ritmo di abandolao, quello tipico dei fandangos delle zone orientali e centrali dell’Andalusia, e si ritiene che siano nati nella zona montagnosa di Ronda, in provincia di Malaga (ma anche a Huelva ne rivendicano l’origine), per poi prendere il ritmo con cui vengono cantato oggi. Diffondendosi maggiormente nel flamenco, questi palos hanno acquisito il ritmo di Siguiríya, che conservano oggi.

Il cante por Serrana ha parecchie similitudini con il cante por Caña o por Polo: tono, scala musicale, divisione in due parti della strofa, modo di cantare, versi lunghi e pieni di melismi, che danno al cantaor una grandissima libertà espressiva. La melodia stessa ce li ricorda facilmente, e condividono anche il fatto di utilizzare due frasi ritmiche per cantare un verso anziché una sola, e infine poiché il cante entra subito sulla nota più acuta della scala.

Come la Siguiríya, Liviana e Serrana usano la scala andalusa, il modo flamenco e si accompagnano in tono di Mi (por arriba), a differenza delle Siguiríyas che solitamente si accompagnano in tonalità di La (por medio). I termini por arriba e por medio indicano la posizione prevalente degli accordi che il chitarrista fa sulle corde: por arriba indica che vengono toccate le corde più gravi, che nella chitarra sono situate più in alto, e definiscono il tono di Mi, mentre por medio indica che vengono toccate le corde centrali della chitarra, e la tonalità è di La.

La Liviana è un cante considerato più antico e meno drammatico della Siguiríya: “Liviana” significa “leggera”, ma si chiama “liviano” anche l’asino che trascina il carro, quindi per similitudine, si può chiamare Liviana qualcosa che si mette davanti a qualcos’altro.

Letra di Liviana: A la orilla de un río/ yo me voy solo/ y aumento la corriente/ con lo que lloro.

(Vado da solo sulla riva del fiume e aumento la corrente con ciò che piango)

Milonga Del Forastero

La milonga è uno stile flamenco del gruppo de ida y vuelta, i generi del flamenco che risentono delle colonie spagnole di oltreoceano. Risente delle sonorità della milonga argentina. Si tratta di un palo, di un genere flamenco, che tradizionalmente non viene ballato, ma lo abbiamo tanto amato e il gruppo di allievi ha scelto di interpretare proprio questo cante. La coreografia che ne è nata è molto influenzata dalla danza contemporanea ed interamente costruita sull’espressività dei ballerini.

Nel nostro montaggio coreografico abbiamo scelto una bellissima interpretazione fatta da Carmen Linares, una cantaora meravigliosa, che ha segnato, e continua a farlo, la storia del flamenco, e ha creato, in collaborazione con il genio della chitarra, Gerardo Nuñez, questa “Milonga del forastero”, nella quale in parte è presente la ritmica, dapprima in 6/8 e poi in 4/4, e in parte rimane libera da vincoli ritmici.

Il flamenco è molto tradizionalista e normalmente non vede di buon occhio le “innovazioni”, ma Carmen Linares ha una autorevolezza tale nel flamenco che non si può fare a meno di riconoscerne la grande maestria. Carlos Guillén la interpreterà per noi per la prima volta in assoluto. E sarà, come sempre, toccante.

Ma torniamo alla Milonga in generale. Ogni cantaor la interpreta secondo il suo personalissimo sentire, dandone una interpretazione unica. Alcuni mettono in evidenza il suo aspetto ritmico, che ricorda un tiento o una zambra, in 4/4 lento. E ricorda molto la ritmica del tango argentino, con una scansione asimmetrica nella struttura: 1-2-3 1-2-3 1-2.

Altri cantaores, invece, preferiscono interpretarla come cante libre, cioè come canto libero dal vincolo di una frase ritmica.

Essendo un cante della famiglia dei cantes de ida y vuelta, la Milonga trae origini al di fuori del flamenco ed è stata “afflamencata” tra la fine del secolo XIX e l’inizio del secolo XX.

Dal punto di vista melodico vive in una interessante ambiguità fra la scala maggiore e la scala minore, che si alternano nel cante, creando un’atmosfera spesso sospesa e sempre molto toccante.

Di seguito riportiamo tutto il testo cantato con la sua traduzione, per indicare che la Milonga può parlare di temi legati alla vita di Buenos Aires a cavallo fra 800 e 900. Il flamenco si ritrova in questo ambiente popolare, di gente senza paura e senza scrupoli.

La historia corre pareja / la historia siempre es igual / la cuentan en Buenos Aires / y en la campaña oriental  /  siempre son dos lo que tallan / un propio y un forastero / siempre es de tarde y en la tarde / está luciendo un lucero

La storia scorre simile a se stessa / la storia si ripete sempre uguale / la raccontano a Buenos Aires e nella campagna centrale  /  sempre sono due quelli che si scontrano / uno di qui ed uno straniero / sempre è sera / e di sera c’è un lampione acceso

Ay nunca se han visto la cara / y no se la volveran a ver / que ya no critican haberes / ni el favor de una mujer

Ahi non si sono mai visti in viso / e non si torneranno mai a vedere / che ormai non litigano per i loro beni / né per i favori di una donna

Al forastero le han dicho / que en el pago hay un valiente / para probarlo ha venío / y lo busca entre la gente

Allo straniero hanno detto / che nella zona c’è un temerario / ed è venuto per verificarlo / e lo cerca fra la gente

Ya se cruzan los puñales / ya se enreó la madeja / ya que ó tendío un hombre / que muere y no se queja

Ormai si incrociano i pugnali / ormai la matassa si è annodata / e ormai è rimasto steso un uomo / che muore senza un lamento

No vale el mas diestro / no vale el mas fuerte / siempre el que muere es aquel / que vino a buscar la muerte

Non conta il più agile / non conta il più forte / sempre quello che muore è colui / che è venuto a cercare la morte

Solo di cante Jeromo Segura

Sarà una sorpresa anche per noi scoprire quale palo flamenco interpreterà questo meraviglioso cantaor.

Garrotín

Garrotín viene da un termine asturiano, “garrote”, una sorta di randello che veniva utilizzato per sgranare il grano. La parola Garrotín indica in spagnolo solamente questo palo flamenco. Trattandosi di una melodia collegata alla trebbiatura, è possibile che si sia diffuso da una regione all’altra, con i pastori o con i lavoratori stagionali dei campi. Si tratta di un palo flamenco di chiara origine folkloristica, afflamencato in un secondo momento. Qualcuno dice che venga da una rielaborazione della zambra del Sacromonte di Granada, mentre altri flamencologi lo considerano una creazione dei gitani della Catalogna, in particolare delle provincie di Lérida e Tarragona.

Dapprima era una canzone, e venne afflamencato, negli anni, ad opera di vari artisti, che nomineremo in seguito. Qualunque sia stata la sua origine, ci ricorda sicuramente un tango flamenco lento, con ritmica in 4/4, in scala maggiore, anticamente in tonalità di Re e oggi più frequentemente in Do.

La melodia è molto “ritmica”, e il cante non ricama variazioni creative sul ritmo, e non fa tante decorazioni melismatiche, appoggiandosi sui tempi forti in maniera chiara e questo ce ne indica una origine non flamenca. Le tematiche raccontate sono sempre ironia, umorismo, giocosità. Per queste sue caratteristiche, lo abbiamo preparato con le persone che ancora non hanno tantissima esperienza nel flamenco, essendo musicalmente molto orecchiabile. La danza va cercata non nelle forme, nei passi, ma negli atteggiamenti corporei e nei modi di fare dei bailaores, in tutto ciò che ogni singolo bailaor farà di totalmente personale, di diverso dagli altri.

È un cante molto divertente, ed ha una caratteristica unica nel flamenco: la presenza di un estribillo, un ritornello che conclude tutte le strofe, e che resta in mente con grande facilità (probabilmente molti usciranno dal teatro canticchiandolo, e lo riconosceranno subito quando avranno una nuova occasione di ascoltarlo!).

Dopo un cambio di atmosfera musicale, un cambio de sentido, il Garrotín normalmente viene portato a tango, diventando più rapido ed allegro.

Viene ballato con il cappello perché la lettera più famosa di Garrotín dice:

Preguntale a mi sombrero / mi sombrero te dirá / las malas noches que pasa/ Y el relente que le da.

(Chiedi al mio cappello /, il mio cappello ti dirà / delle cattive notti che passa e dell’umidità notturna che lo colpisce).

Fra l’altro, riflettendo su questa letra possiamo considerare come l’ironia pervada anche il racconto di una situazione potenzialmente molto drammatica, che viene invece resa leggera!

Il Garrotín venne afflamencato al principio del 900. Amalia Molina, bailaora e cantante di coplas, gitana di Triana, classe 1881, e il bailaor e cantante Faíco (una vera icona della storia del baile flamenco!) lo resero più evoluto e presentabile in spettacolo, portandolo nei Cafés Cantantes di Madrid e della Catalogna. L’opera di cantaores come La Niña de los Peines e Manuel Torres lo resero un cante da ascolto.

Non sono in molti i cantaores che lo presentano in un concerto. Da notare sicuramente l’interpretazione storica di Carmen Amaya (per chi la conosca solo come genio del cante, Carmen fu anche cantaora) e quelle di Naranjito de Triana, Fosforito, Mariana Cornejo, José Menese. Negli ultimi anni può capitare di sentirlo cantare in concerto da Argentina e da Mayte Martín.

Il Garrotín ebbe il suo momento di massimo splendore all’inizio del 900, tanto che ad un certo punto fu di uso comune chiamare “Garrotín” un cappello leggero, senza decorazioni, e tutti i maestri di danza di Siviglia, Barcellona e Madrid dovettero organizzarsi per farlo ballare ai propri allievi.

Una piccola curiosità: la forma in cui si canta il Garrotín oggi e l’introduzione del cante con la frase “Tran tran treiro” nacquero dalla fama dell’interpretazione del cantaor Rafael Romero negli anni ‘60 del ‘900.

Fandangos De Huelva

Il Fandango de Huelva comprende numerosissimi stili di fandango della zona della provincia di Huelva. In ogni singolo paesino della provincia c’erano canti tradizionali che poi sono stati ad un certo punto portati nel flamenco, afflamencati, soprattutto per opera di un grandissimo cantaor, Paco Toronjo.

Nel nostro montaggio coreografico, la prima strofa è un fandango valente del Alosno, che può essere considerata come una icona del cante por Fandango, sicuramente la letra più famosa di questo genere.

Alosno / Calle Real del Alosno / Con sus esquinas de acero / Es la calle más bonita / Que rondan los alosneros / Calle Real del Alosno

Alosno / calle Real del Alosno / con i suoi angoli di acciaio / è la strada più bella / che passeggiano gli abitanti / del Alosno

Alosno è un paese della provincia di Huelva, centro del fenomeno fandango in quanto paese in cui nacque Paco Toronjo, il cantaor che diede impulso al fandango elevandolo da canto popolare folkloristico a flamenco.

Calle Real è la via principale del paese - tutti i paesi in Spagna hanno una calle Real e una calle Mayor, una delle quali solitamente è la via principale…

Calle Real del Alosno ha gli angoli degli incroci ricoperti di piastre metalliche in modo che i mezzi di trasporto, troppo grandi per la strada stretta, non rovinassero i muri.

La seconda letra del nostro Fandango è quella di Cabezas Rubias, in scala minore.

La terza letra è un Fandango di Calañas.

Cabezas Rubias e Calañas sono due paesi della provincia di Huelva, nelle colline del nord, verso l’Estremadura, vicinissime al Portogallo, una zona famosissima per i luoghi di stagionatura dei prosciutti di maiale a zampa nera, i rinomati pata negra. La campagna della zona è totalmente piena di boschi di querce, e i maiali pata negra vivono liberi di pascolare fra le querce e nutrirsi di ghiande. Oggi quasi nessuno li nutre a sole ghiande, perché i costi sarebbero troppo elevati ed il margine di guadagno troppo esiguo, ma dar da mangiare ghiande al maiale, almeno per gli ultimi 6 mesi prima di macellaio, conferisce alla carne un profumo particolare, di nocciola, molto apprezzato.

Il ritornello, estribillo finale parla proprio di Huelva, e dice:

Cuando me asomo al Conquero / Se me sale el alegría / Al ver como se cruzan / Los barquillos por la Ria / Y me sale a la memoria / Que pa’ eso soy “choquero” / Este fandango de Huelva / Lo mejor del mundo entero.

Quando mi affaccio al Conquero / mi viene l’allegria / vedendo come si incrociano / le barchette nella Ria / e mi viene in mente / e per questo sono un “choquero” / questo fandango di Huelva / il meglio del mondo intero

Conoscere la lingua spagnola è importante per capire il flamenco, ma non è sufficiente: per capirlo al meglio bisogna conoscerne i luoghi e la storia! Il Conquero è una collina, tipo quella milanese di San Siro, nella città di Huelva. In cima c’è un santuario e un giardino da cui si gode una bella vista sul fiume Ria, uno dei due fiumi che attraversano la città (l’altro è il Rio Tinto).

Choquero è l’abitante di Huelva per antonomasia: Huelva è sull’Atlantico, è città di mare, e là il mercato del pesce è tradizionalmente importante. A Huelva al mercato del pesce ci sono da sempre tante varietà di chocos, le seppie, e gli onubenses (il nome degli abitanti di Huelva) adorano le seppie, soprattutto fritte, e chiamano ironicamente ma con fierezza se stessi choqueros, gli esperti delle seppie!

Il fandango di Huelva è ovviamente definito “lo mejor del mundo entero” dato che gli andalusi sono… “lievemente” campanilisti!

Il fandango risente tantissimo del senso del gruppo, del senso della tradizione andalusa, della grande socialità della gioia di essere insieme agli altri e di una certa vita semplice e tradizionale, di campagna. Ha un ritmo che invita alla danza, e veniva ballato prima ancora di diventare parte del flamenco, proprio come un repertorio del folklore della provincia di Huelva.