Libretto: Sin raíces no hay alas

Indice

Sin raíces no hay alas

senza radici non ci sono ali

25 Giugno e 26 Giugno 2025 Teatro Osoppo, Via Osoppo 2 Milano

Spettacolo di flamenco de Il Mosaico Danza Milano corsi tenuti da Sabina Todaro www.ilmosaicodanza.it www.mosaicoflamenco.com www.flamencomilano.it

Cuadro Musical:

  • Carlos Guillén cante flamenco
  • Josué Segura cante flamenco
  • Emanuela Baldi canto
  • Antonio Porro chitarra flamenca e direzione musicale
  • Sebastiano Sempio cajón e percussioni
  • Alessandro Longhi flauto
  • Ivana Zanini cantaora invitata e palmas
  • Sabina Todaro palmas

Coreografie e ideazione musicale di Sabina Todaro. Audio e Luci curati da Paolo Minuti e Roland Erulo. Progetto Grafico di Silvia Giannangelo. Organizzazione Sabina Todaro.

Programma dello spettacolo:

Perché “Sin raíces no hay alas”

Sono Sabina Todaro, direttrice e insegnante di flamenco del Mosaico Danza, coreografa di questo spettacolo, creatrice del podcast “Flamenco Chiavi in Mano”, ideatrice di un metodo rivoluzionario sulla pedagogia e sulla fruizione del flamenco, membro della Direttiva della Sociedad Pizarras, che si occupa del recupero e della diffusione del flamenco storico, antico e di metterlo nuovamente a disposizione dell’umanità. Il titolo di questo spettacolo mi si è manifestato in mente dopo ore di studi e riflessioni sulla storia del flamenco, volendo mostrare agli allievi e al pubblico del podcast la linea di continuità con la quale il flamenco si è evoluto ed è oggi ciò che possiamo “vedere e sentire”. Ascoltare, cantare, suonare o ballare flamenco senza conoscere il perché della sua essenza, la sua storia, la sua cultura di riferimento, le sue radici, insomma, è uno spreco. È come avere davanti una bellissima coppa di gelato, piena di frutta, panna, creme, e mangiare solo una fragola e buttare tutto il resto. Un vero spreco. Le ragioni che hanno portato il flamenco ed essere ciò che è oggi si trovano nella sua storia! In questa ricerca le origini sono il punto di partenza, non sempre evidente, non sempre noto ai più, ma comprensibile ed apprezzabile, una volta scoperto. E tutto questo rende il flamenco accessibile a tutti, come un patrimonio di radici collettive.

Questa frase mi riecheggiava in testa. “Sin raíces no hay alas”. Mi è sembrato perfetto. Controllando se esistesse qualcosa con questo nome mi imbatto in un interessantissimo libro omonimo, che non conoscevo (non lo conoscevo): “Sin raíces no hay alas: La terapia sistémica de Bert Hellinger”, scritto da Bertold Ulsamer, psicologo e formatore tedesco, che esplora in profondità il metodo delle Costellazioni Familiari sviluppato da Bert Hellinger. Pubblicato nel 2018, il testo si propone come una guida pratica e teorica per comprendere come i legami familiari inconsci possano influenzare la nostra vita presente (e fin qui sembra la presentazione di un sito di vendita libri on line). Il libro parte dall’osservazione che i figli, per lealtà inconscia, spesso replicano i destini e i modelli comportamentali dei propri progenitori, anche se questi sono causa di sofferenza. Le Costellazioni Familiari rendono visibili le dinamiche familiari nascoste, portando alla luce tensioni e relazioni disfunzionali, aprendo un percorso che favorisce guarigione e benessere personale. Bingo. Così, “guarda caso”, il tema di questo libro risuona perfettamente con il mio messaggio sul flamenco: anche nella musica e nella danza: ciò che sembra accadere per istinto o “caso” (un gesto, un respiro, un’energia improvvisa) è il frutto di radici profonde – culturali, corporee, emotive. Umane. Solo quando riconosciamo e onoriamo queste radici, possiamo spiccare davvero il volo. Un volo che sarà consapevole, potente, autentico. Il flamenco fa riferimento ad emozioni umane condivisibili, collettive, e il gesto o il suono sono portatori di memorie emozionali, che hanno a che vedere con la natura stessa dell’essere umano. E quando le incontriamo, le sentiamo, le riconosciamo, le esprimiamo (letteralmente le spremiamo fuori di noi), ecco che “casualmente” ci sentiamo liberi.

Come dice la mia amica di tutta la vita, Roberta Albani, anche lei insegnante (di danza classica) al Mosaico, “Lo spettacolo di flamenco è imperdibile: ti entra dalla pancia e dalla pelle prima che dagli occhi!”. Il nostro viaggio inizia da qualcosa di pre-flamenco, un brano di Sarasate suonato con le nacchere, pubblicato nel 1878, che rappresenta la storia della musica spagnola al di là del flamenco, una parte della quale si è effettivamente inserita come una delle radici del flamenco. Prosegue esplorando il ricco patrimonio delle canzoni popolari antiche, e si rivolge al flamenco, raccontando di ogni genere presentato un percorso dedicato alla sua storia e al suo sviluppo musicale.

Studiare flamenco al Mosaico

La pedagogia del flamenco di Sabina Todaro è un approccio unico e profondamente innovativo, che fonde la tradizione del baile con le neuroscienze, l’anatomia funzionale e la libertà espressiva. Questo metodo, sviluppato in oltre 35 anni di esperienza, si basa sul concetto che la danza non è solo una sequenza di movimenti da imitare, ma un’esperienza viva, radicata nella logica e nella consapevolezza corporea e che si nutre della autenticità emotiva.

I principi chiave del metodo Todaro

  • Movimento naturale e neurologia applicata: Sabina insegna a muoversi rispettando i principi dell’anatomia e della neurologia. Attraverso esercizi che sfruttano le catene muscolari e il respiro consapevole, gli allievi imparano a utilizzare la risposta del corpo alla forza di gravità per ottenere movimenti fluidi e spontanei, evitando formalismi, rigidità e tensioni.
  • Espressività e autenticità: Nelle lezioni e nel suo podcast “Flamenco Chiavi in Mano”, Sabina sottolinea l’importanza di evitare l’esecuzione meccanica dei movimenti. Nella danza in generale e nel flamenco in particolare. La danza deve nascere dal sentire, dall’intenzione e dalla presenza emotiva. Attraverso esercizi di gruppo e giochi espressivi, gli allievi sono incoraggiati a esplorare e liberare la propria espressività.
  • Apprendimento organico e personalizzazione: Contrariamente ai metodi tradizionali basati sulla ripetizione, il metodo Todaro promuove un apprendimento che parte dall’ascolto del corpo e della musica. Imparare a sentire come la musica ci muove e come il corpo la esprime, come se fosse uno strumento musicale che fa musica visibile. Questo approccio permette agli allievi di sviluppare uno stile personale, autentico e in armonia con la tradizione flamenca.
  • Integrazione con la musica dal vivo: Le lezioni includono spesso la presenza di musicisti dal vivo, dalla chitarra alle percussioni, e soprattutto alle esperienze con il cante (che è il cuore del flamenco) e spingendo gli allievi a cantare, quali che ne siano i risultati. Questa pratica aiuta gli allievi a comprendere meglio il rapporto tra danza e musica, sviluppando una maggiore sensibilità ritmica e soprattutto musicale.
  • Un ambiente di apprendimento positivo e inclusivo: Le lezioni si svolgono in un clima sereno e collaborativo, dove ogni allievo è accolto nella sua unicità, che viene considerata un regalo di contributo al gruppo. L’obiettivo è creare un’esperienza di apprendimento totalizzante, piacevole e che favorisca la crescita personale e artistica senza competizione. Non tutti apprezzano questo modo di lavorare sul flamenco, che mette tantissimo in gioco le persone come esseri umani, ma il flamenco è questo: imparare ad essere se stessi, nel rispetto degli altri. Per questo ci vuole umiltà e capacità di mettersi in discussione. Merce rarissima oggi giorno… Ma il percorso è molto ricco e apre porte impensabili su di sé, mettendo in luce ombre e gioielli nascosti.

I brani dello spettacolo

1- Habanera, Op. 21 No. 2 di Pablo de Sarasate

Strumenti simili alle nacchere, al centro dell’apertura con la Habanera, Op. 21 No. 2 di Pablo de Sarasate, sono percussioni antiche di oltre 3000 anni, originari di culture come quella egizia e in generale mediterranea. In Spagna le castañuelas sono una evoluzione di altri piccoli strumenti simili, e sono utilizzati centralmente della scuola bolera, in alcune musiche e danze del folklore e in parte nel flamenco. Coreografia di Karen Sanchez, interpretata dalle allieve del corso di nacchere.

2- Canciones Populares Antiguas

Lo spettacolo si evolve a partire dal patrimonio culturale delle canciones populares antiguas, brani raccolti da Federico García Lorca e da Manuel De Falla a partire dai canti popolari: un corpus di canzoni andaluse e castigliane, trascritte e armonizzate rispettando ritmo, melodie e intensità originali. Queste melodie, nate dalla memoria orale, raccontano amori, festività, lavoro, magìa popolare, con caratteristiche ritmiche che hanno fortemente contribuito a costruite le radici del flamenco. Manuel de Falla, nel 1914, ha arricchito il repertorio tradizionale con le “Siete canciones populares españolas”, recuperando melodie popolari in chiave orchestrale, e rendendole musica colta. Federico García Lorca incise nel 1931 una serie di dischi in cui su proprio arrangiamento, suonava le melodie al piano, accompagnato dal cante e dalle nacchere de La Argentinita. Queste incisioni hanno reso accessibili questi canti popolari alle generazioni a venire. Forse salvandoli dall’oblio. Le canciones antiguas sono dunque punti di riferimento musicali per il flamenco di oggi: abbiamo una cantante eccezionale, Emanuela Baldi, che ne mostra la musicalità più vicina alla canzone che al cante flamenco, mescolandosi con la voce dei cantaores per un risultato emozionante. L’accompagnamento di chitarra, percussioni e palmas ne valorizzano il carattere antico, trasformandole in radici da cui nasce l’energia della danza, che si regge su una memoria sonora molto viva. In scena, tutti i ballerini, che danzano insieme a prescindere dalle differenze di capacità ed esperienza, in una festa collettiva in cui le persone portano in regalo la propria umanità, al di là di differenze di preparazione o esperienza.

3- Zorongo gitano

Lo Zorongo gitano non è propriamente un palo del flamenco, ma fa parte delle canciones populares antiguas. Si può dire che si tratta di una canzone popolare andalusa afflamencata e fa parte delle canciones populares antiguas. La sua melodia semplice e antica, su tonalità di La minore, e scala flamenca, risuona con tanta intensità e stile da potersi adattare perfettamente al linguaggio del flamenco, pur restando una gemma del folklore spagnolo. Il nome mantiene un’aura misteriosa: nessuno sa con certezza da dove derivi questo termine, “zorongo”. Forse potrebbe avere un’origine africana, che motiverebbe un nome dal suono tanto particolare, data l’influenza sul flamenco delle danze e musiche africane che arrivarono nei porti di Cadice e di Siviglia. Documenti storici come i pliegos de cordel del XVIII – XIX secolo menzionano un ritornello cantato “zorongo zorongo”, ma in realtà nessun ricercatore ha mai trovato un canto antico con quel ritornello. Nel primo Novecento, lo zorongo era un ballo gitano praticato soprattutto nel Sacromonte di Granada, con una struttura musicale ternaria tipica del folklore spagnolo. La melodia e l’andamento rapido e scandito in tre tempi rimandano a ritmi vivaci che sono una parte importante del patrimonio del flamenco. Un passaggio chiave nella storia di questo cante è proprio l’intervento di Federico García Lorca, che nel 1931 raccolse e arrangiò la melodia insieme alla cantante e bailaora La Argentinita, incidendolo per la prima volta nella storia, per la casa discografica “La Voz de su Amo”. La Argentinita lo cantava con una ritmica particolare, che oggi nessuno più ripete, ma che abbiamo scelto di rappresentare fedelmente. Non solo ne salvò la forma musicale originale, una strofa semplice e una melodia ripetuta di ritornello, ma aggiunse strofe poetiche di sua creazione, più raffinate e con l’indelebile marchio del suo stile personale. Grazie a quella registrazione, lo zorongo sopravvisse: senza di essa, probabilmente sarebbe stato dimenticato, disperso nella tradizione orale. Nel film La nueva Cenicienta (1964), interpretato da Antonio Ruiz e Marisol, lo zorongo gitano ottenne visibilità popolare dimostrando che, pur non essendo un palo flamenco “canonico”, meritava già allora di avere un pubblico più ampio. Sul piano ritmico, lo zorongo anticamente era, come già ricordato, su un ritmo ternario, ma oggi viene cantato in quattro quarti, seguendo la creatività della meravigliosa cantaora Carmen Linares che lo incise in questa forma nel 1993. Nella versione del nostro spettacolo abbiamo scelto di sottolineare questa doppia possibilità ritmica, modificando più volte le frasi ritmiche. Ma più di tutto, ciò che rende unica questa canzone è la semplicità della sua melodia, che si fissa nella memoria, e l’alchimia del gioco tra ritornello e strofa poetica. Lo Zorongo gitano è dunque un ponte: tra folklore popolare e flamenco, tra tradizione orale e creazione poetica, tra una canzone semplice e una parentesi di emozione intensa. Rimane un piccolo capolavoro, da trattare con rispetto e orecchio attento, perfetto per chi vuole esplorare angoli meno conosciuti del flamenco.

4- Solo de cante di Ivana Zanini

Il Mosaico è una scuola di flamenco e vi presentiamo il cante di Ivana, allieva di Jeromo Segura. Ci presenta Granaina y abandolao.

5- Milonga

La milonga flamenca nasce alla fine dell’Ottocento come un ponte tra due mondi musicali: la milonga argentina, con il suo ritmo sincopato in 2/4 e le sue melodie delicate, e il flamenco, intessuto di forti connotazioni emozionali. Ebbe successo nell’epoca dei cafés‑cantantes, grazie a Pepa de Oro, cantaora che conobbe la milonga in Argentina e che per prima la “afflamencò”, creando nelle strofe un’alternanza fra una parte melodica, molto espressiva, ed un’altra ritmica e leggera, in alcuni casi come un tango flamenco o una rumba. Nel 1913 il leggendario cantaor Antonio Chacón, accompagnato dalla chitarra di un altro genio, Ramón Montoya, la incise per la prima volta su disco a 78 giri, fissandone per sempre il ritmo, le caratteristiche decorazioni vocali, le modulazioni tra maggiore e minore che risultano fino ad oggi i tratti caratteristici tipici della milonga flamenca. La sua versione divenne il modello stilistico per i cantaores a venire, dando le basi ad un cante pieno di malinconia ed espressività, grazie anche a questo contrasto tonale fra maggiore e minore. Come sempre nel flamenco, l’evoluzione del palo crebbe grazie alla creatività dei cantaores che lo cantarono. Vi presentiamo versi tratti dalla incisione di Antonio Chacón: “Si llegara a suceder/ que esta ingrata me olvidara/ su culpa la perdonara/ y la volviera a querer/ pero me ha de agradecer/ que la vuelva a querer yo/ ella motivos me dio/ y ya hice juramento/ borrar de mi pensamiento/ mujer que a mí me ofendió” (Se dovesse accadere che questa ingrata mi dimenticasse, perdonasse la sua colpa e decidesse di amarmi di nuovo, ma mi dovrebbe ringraziare che sia io a tornare ad amarla; lei mi ha dati i motivi e io ho già fatto giuramento di cancellare dalla mia mente la donna che mi ha offeso). Le altre strofe del nostro montaggio sono state rese famose da Pepe Marchena nel 1969, altro grandissimo cantaor della storia del flamenco, pietra miliare dell’dell’ “ópera flamenca”: “Cambiaste el sol por la luna y agua dulce por salobre. El mar por una laguna y el oro fino por cobre. Media naranja por una " (Hai cambiato il sole con la luna, e acqua dolce per salmastra, il mare per una laguna, l’oro puro per rame e mezza arancia per una intera) La saggezza del flamenco ci ricorda quanto sia facile fare scelte sbagliate credendo di far bene! “Cayó una perla en un lirio/ y la bañó un rayo de luz/ Yo lloré con sentimiento/ y entonces naciste tú/ solo para darme tormento./ Nada le debo a la vida/ nada le debo al amor/ La vida me dió amargura/ y el amor una traición.” [cite: 77] (Cadde una perla in un giglio è la bagnò un raggio di luce, Ho pianto con sentimento, e allora nascesti tu solo per darmi tormento. Non devo nulla alla vita né all’amore, la vita mi ha dato amarezza e l’amore un tradimento). I versi della milonga non sono strofe tradizionali, ma creazioni poetico‑musicali particolari, strutturate in una forma che si chiama “décima”. Hanno contenuto emozionale e simbolico. Il testo dispiega contrasti forti e crea immagini suggestive e poetiche. Molti anni dopo, la cantaora gaditana Encarna Anillo ha ripreso queste letras, rispettandone tanto la forma poetica quanto soprattutto il pathos e riportandole in primo piano con una sensibilità sonora contemporanea. Su questa melodia abbiamo costruito la nostra coreografia.

6- Fandango de Huelva

Quando entriamo nel mondo del Fandango de Huelva, non stiamo accedendo a un semplice palo flamenco, ma a una straordinaria famiglia di stili che raccontano la vita di un territorio intero, la provincia di Huelva: dalla costa all’entroterra, dai paesi minerari alle zone acquitrinose lungo l’Atlantico. Il ritmo è ternario, costruito su frasi molto orecchiabili di 3 ripetizioni di cicli da 3 tempi, con l’accento forte sul primo, come nel valzer (per dare un’idea comprensibile), più una chiusura finale di altri 3 tempi nella quale si accentano i primi due ed il terzo rimane sospeso, chiudendo così il ciclo ritmico. La forma poetica è quella delle coplas, le strofe popolari, in versi ottosillabi. Il fandango de Huelva, come tradizionale stile folklorico, era cantato e ballato in situazioni di festa: le genti di Alosno, Valverde, Calañas, Cabezas Rubias, Santa Bárbara ecc, delle varie zone, insomma, di questo variegato territorio, si riunivano cantando intorno a un tavolo, accompagnati dal caratteristico “palilleo”, un modo tipico di percuotere ritmicamente con le nocche una superficie, palmas chitarre, e qualche buon bicchiere dei famosissimi vini andalusi, per condividere le loro storie e tradizioni. Che si tratti di qualcosa che affonda le radici nella collettività è chiaro: basta ascoltare il fandango del Alosno, che è il cuore della zona di tradizione del fandango! Il celebre fandango cané del Alosno viene cantato in gruppo, come un rituale comunitario. Nato come musica popolare, il fandango si è fatto arte diventando flamenco, grazie all’opera di artisti unici, che ne hanno saputo mantenere la natura autentica e collettiva, proiettandolo verso un futuro creativo, aumentandone intensità, profondità, personalità ed emotività, senza snaturarlo. I protagonisti di questa rivoluzione sono stati Paco Isidro, José Rebollo, Antonio Rengel, Paco Toronjo e, in tempi contemporanei Jeromo Segura, tutti cantaores radicati nel territorio di Huelva, che hanno dato un impulso verso il futuro a questi cantes, affondando sempre più le radici nella tradizione. Il Fandango de Huelva si alimenta delle sue strofe poetiche che parlano del territorio di Huelva, dell’amore, della vita di campagna, dei santi, delle feste e si appoggia su una struttura ritmica semplice e molto coinvolgente, capace di accogliere la creatività del cantaor: radici solide che danno slancio a un volo emotivo, personale e collettivo. Una delle strofe che vi presentiamo, “Olas de la mar en calma/ concha quajada de lunares/ si tu me dieras tu amores/ yo te entregaria el alma/Maria de los dolores” (Onde del mare calmo, conchiglia punteggiata di puntini, se mi dessi il tuo amore ti dedicherei l’anima, Maria dei dolori) è una delle più antiche della storia del fandango, ed è stata cantata da tutti i cantaores importanti nella storia di questo palo (e non solo!).

7- Solo musicale

Il flamenco è una musica in cui la comunicazione fra i musicisti del cuadro è talmente forte da poter creare delle composizioni meravigliosamente armoniose senza doverle costruire a tavolino, senza prove, senza partiture. In un atto di ascolto, com-passione ed espressione delle emozioni condivise.

8- Petenera

La Petenera emerge come un canto intriso di mistero: compare per la prima volta su un cartellone del Teatro Coliseo di Città del Messico il 6 gennaio 1823 e fa la sua apparizione in Spagna, a Cadice, nel 1826 – eseguita come “Petenera veracruzana” da Luis Alonso e Lázaro Quintana. Tali riferimenti hanno spinto studiosi come Lenica Reyes Uñiga, José Miguel Hernández Jaramillo e Faustino Núñez a scandagliare antichi periodici alla ricerca delle sue origini. Il suo ritmo originario era ternario, tipico del folk spagnolo con accenti tra 6/8 e 3/4, ma in Messico la melodia venne plasmata dal Son Jarocho e entrò in Spagna come canto di “romance”, componimento epico-lirico in doppi ottonari, da cui si evolverà nella forma poetica moderna. Un nodo fondamentale nella storia è “A la una yo nací”, una canzone sefardita (in lingua ladina), cantata già nel XV secolo e poi ripresa in numerose versioni ad Oriente, testimoniando una linea melodica che ritroveremo in Medina el Viejo, come vi faremo sentire nella nostra presentazione. Passando per il Mediterraneo sefardita, giunge fino al flamenco andaluso, e il suo tema e melodia diventano radice della Petenera. Sul fronte discografico, El Mochuelo produce una delle prime registrazioni di Petenera nel 1899, documentata su cilindri o dischi di ardesia, segnando l’ingresso della Petenera nella storia discografica del flamenco. Questa petenera è nota a tutti i flamencologi e ai cantaores più appassionati alla storia del flamenco, ma oggi in pratica non la canta nessuno. Le voci delle due celebri Rubias – Encarnacion Santisteban la Rubia de Valencia e la Francisca Colomer Sierra la Rubia de Málaga– contribuiscono in modo personale alla diffusione della Petenera dei cafés cantantes di inzio 900.Purtroppo della seconda non restno registrazioni, ma la Rubia Santisteban ha inciso con el Mochuelo, addirittura un cante a due voci por petenera, che noi ti faremo ascoltare! Medina el Viejo, cantaor la cui figura è ancora avvolta nel mito, popolarizza la Petenera a fine Ottocento. Il suo successore artistico (si pensava ne fosse il figlio naturale ma non è così) “Niño Medina” apprende direttamente da lui, e insieme a Pastora Pavón, la Niña de los Peines, la trasforma: la lentezza espressiva e la solennità diventano il marchio di fabbrica che definisce la versione “flamenca” moderna. Ti facciamo sentire anche una letra di questa forma. L’evoluzione di questo palo si deve anche ad Antonio Chacón, che ne adotta lo stile e lo inserisce nei primi repertori del cante jondo, accompagnato dal suo chitarrista storico Perico el del Lunar . In tutto questo percorso, la Petenera passa da forma ballabile e vivace – con nacchere e ritmo allegro – a canto solenne e lento, risultato dell’influenza della soleá e del profondo lavorio emotivo dei cantaores.

9- Bambera

La Bambera affonda le sue radici nell’antica tradizione dei cantes de columpio, i canti dell’altalena. Durante le feste tra Siviglia e Cadice, veniva montata una altalena, sulla quale le giovani coppie, sospese tra cielo e terra, cantavano versi d’amore, gelosia e desiderio mentre si spingevano “verso la luna”: un rito “carnale” e poetico insieme. Questa melodia, presa dal folklore di Aznalcázar, un paese fra Siviglia e Huelva, viene registrato per la prima volta nel 1935 da Pepe Pinto, usando il tradizionale ritmo di fandango tipico di quella zona. La incide col titolo “Pintera”. Pepe Pinto e la moglie, la famosissima Niña de los Peines, scoprirono il Fandango de Aznalcázar andando in villeggiatura nella zona. Per primo appunto lo cantò Pepe Pinto, e poi si appassionò molto a questo cante la stessa Niña de los Peines, diffondendo un canto campestre che cominciò così a trasformarsi in flamenco. Nel 1940/41, la Bambera assume una nuova veste grazie a Pepe Marchena, che la canta por milonga nel film Martingala, con una lettura personale e fuori dagli schemi (secondo il suo stile visionario e molto personale!), che conserva però il cuore melodico originario del palo. È La Niña de los Peines, nel 1949, a consacrarne la forma definitiva: con Melchor de Marchena incide “Entre Sábanas de Holanda”, forse la letra più nota in assoluto di questo palo, assegnando ad esso ufficialmente il nome bambera e integrandola nel repertorio flamenco. In quel caso l’accompagnamento era ancora por fandango. Con gli anni il palo si evolve e si presta a una importante modifica: El Lebrijano propone una bambera accompagnata por bulería por soleá nel 1966, e Naranjito de Triana la reinterpreta in modo storico nel 1970, influenzando con il suo stile moltissimi cantaores a seguire, che da allora abbandoneranno l’accompagnamento por fandango per sposare quello por bulería por soleá. Camarón de la Isla la rinnova infine in stile psichedelico‑rock, ne “La Leyenda del Tiempo”, nel 1979 dimostrando la sua capacità di rinascere ogni volta a nuova vita. Negli anni ‘90, Carmen Linares la riporta alle sue origini, quelle del fandango, mentre Enrique Morente nella sua immensa creatività sperimenta questa melodia a ritmo di tango, aggiungendo ripetizioni finali tipiche. Nel nostro Sin raíces no hay alas, la Bambera si apre por milonga, in omaggio alla creatività visionaria di Pepe Marchena. Proseguiamo poi con la prima letra su ritmo di fandango, riconnettendoci anche coreograficamente alla coralità delle festività campestri del periodo intorno al 1935, omaggiando un canto che danza tra radici autentiche e tradizione viva. Terminiamo con diverse letras cantate por bulería por soleá, come si è soliti fare oggi. Il flamenco si evolve, senza dimenticare la bellezza e la ricchezza delle sue radici.

10- Solo baile Sabina Todaro

Improvvisazione totale…

11- Seguiriya

La Seguiriya è un canto ancestrale e potentemente drammatico, un pilastro del flamenco che affonda le radici nella cultura andalusa e gitana. Ma chi ha in mente la salmodia del Corano non può evitare di notare delle profonde affinità. Nasce come un urlo viscerale di sofferenza, privato, intimo, non contaminato dalla teatralità dei tablaos e della commercializzazione di altri palos del flamenco. È un canto oscuro, il più nero del panorama flamenco, senza fronzoli, senza frivolezze: dichiara il dolore, la morte e la perdita. È un canto che non si richiede una vita vissuta, grande padronanza tecnica e, soprattutto, una profondità emotiva e la generosità di condividerla. Musicalmente si regge su una struttura essenziale: la famosa “cadenza andalusa”, quattro note discendenti su scala frigia, accompagnate da rasgueos, tecnica chitarristica tipica in cui il musicista gratta le corde della chitarra e sembra grattare l’anima stessa. Il ritmo è asimmetrico, un compás (frase ritmica) di dodici tempi, in cui gli accenti arrivano irregolari, lasciando spazio a silenzi che amplificano la tensione. È proprio quella pausa, quel vuoto tra le note, a far vibrare l’ascoltatore, a spingerlo dentro il cante. E dentro di sé. Il cantaor non deve essere un virtuoso dalla bella voce, ma uno che ha il coraggio di denunciare verità. La melodia è semplice, ripetuta, quasi monotona, eppure è carica di ornamentazioni, quejíos (i tipici lamenti del cante flamenco) e silenzi che la trasformano in un vero e proprio viaggio emotivo. I versi sono pochi, ripetuti, dilatati fino all’estremo, come a sfidare il tempo e piegarlo al proprio dolore. Se c’è la danza, allora la Seguiriya si fa corpo: movimenti sobri e stabili, chiusure ritmiche squillanti e decise. Il bailaor può scegliere di seguire il ritmo crescente o di contrastarlo con movimenti lenti, in una danza metaforica tra caos e presenza in cui la verità profonda deve venire a galla. Il baile deve essere sempre in dialogo con il cante, senza sovrastarlo. Grandissimi artisti hanno fatto la storia di questo palo, da Perico el del Lunar a Don Antonio Chacón a La Niña de los Peines, da Manuel Agujetas ad Antonio Mairena. Questi grandi interpreti, gitani e non, sono fra coloro che hanno modellato questo palo. La cadenza andalusa è così presente nella Siguiriya che risuona ancora dopo aver finito di ascoltarla. È un rituale emotivo che ci strega, una chiave d’accesso a emozioni profonde, un’esperienza catartica che aiuta a portare fuori la sofferenza, renderla visibile, respirarla e… lasciarla andare come parte della vita stessa.

Sabina Todaro

Sabina Todaro è molto più di un’insegnante di danza di Milano: è una narratrice del corpo che coniuga tradizione, anatomia, neuroscienze e una passione innata per l’espressività. Fin da quando, a soli sei anni, muoveva i primi passi tra danza classica e ginnastica ritmica, ha iniziato un viaggio che l’ha portata alla conquista di molteplici codici coreutici, dal balletto alla contemporanea, dalle danze mediterranee al flamenco, sino al ricco mondo delle danze mediorientali. Negli anni, Sabina ha trasformato curiosità in studio: ha viaggiato costantemente in Spagna dove si è formata con maestri di baile come Rafaela Carrasco, Angel Atienza, Isabel Bayón, Eva la Yerbabuena, Antonio “El Pipa”, Antonio Canales, La Lupi. La sua formazione per le danze del mondo arabo passa attraverso numerosi viaggi in Medioriente e in Algeria, e studio con importanti maestri internazionali. Con la ballerina e coreografa egiziana Suraya Hilal ha coltivato un rapporto di formazione costante dal 1994 al 2010, ottenendo la prestigiosa “mastery level licence” dalla Hilal Art Foundation. Parallelamente ha costruito solide radici in Italia: ha studiato Psicologia e Pedagogia all’Università Statale di Milano e completato un percorso triennale come terapista psicomotricista al Policlinico milanese. In questo modo ha approfondito conoscenze di psicologia, pedagogia, anatomia, fisiologia e neurologia applicata al movimento, elementi che oggi fanno parte ogni giorno dei suoi studi personali e fondano il suo rivoluzionario metodo didattico. Nel 1997 ha fondato a Milano la scuola “Il Mosaico Arti Danze Culture” (oggi Il Mosaico Danza ASD), dove integra il flamenco con la sua creazione più personale: la Lyrical Arab Dance. Questo percorso unisce le radici espressive del Mediterraneo, mescolando musiche arabo-andaluse e contemporanee per esplorare l’espressività corporea attraverso un profondo lavoro di centratura, respirazione e ascolto interiore. Le sue lezioni non sono semplici momenti tecnici: sono viaggi emotivi in cui il corpo diventa portavoce. I suoi allievi imparano non solo i passi, ma soprattutto la fisica del movimento – gravità, resistenza, ascolto – e la connessione profonda tra gesto ed espressione. Grazie alla sua capacità di spiegare i meccanismi corporei con semplicità e chiarezza, è stimata per la velocità e la qualità di apprendimento che riesce a stimolare. La sua influenza trascende la sala danza: ha formato coreografi professionisti per la Regione Lombardia, ha ideato percorsi di formazione per insegnanti e ha promosso vivamente l’idea del flamenco come pratica olistica di benessere, veicolata anche tramite il suo podcast “Flamenco Chiavi in Mano” e la serie video “Le Perle di Sabi”. Sabina si muove con eleganza tra mondi culturali: viaggia e studia la lingua araba per affinare la sensibilità verso quella cultura, esplora la cultura flamenca con autenticità e rispetto, ricerca delle sue radici. La sua missione? Offrire un viaggio nel flamenco e nella danza araba che sia, al tempo stesso, potente, consapevole e profondamente umano. Grazie ai suoi studi sulla storia del flamenco, alla diffusione di questa cultura che fa giornalmente e alla collaborazione con la Sociedad Pizarras, che si occupa del recupero del ricco patrimonio musicale antico del flamenco, quello inciso nei cilindri di cera e nei dischi di ardesia a 78 giri, Sabina è stata invitata ad essere l’unico membro straniero della Direzione della Sociedad Pizarras stessa. Sabina Todaro è una guida dell’essere: un’artista, insegnante e formatrice che riesce a fondere rigore scientifico e anima, tecnica e cuore. Con oltre quarant’anni dedicati all’ascolto del corpo e delle culture, ha creato un percorso unico che eleva il movimento a strumento di crescita personale e collettiva.

I nostri musicisti

Antonio Porro

Antonio Porro si diploma in chitarra classica al Conservatorio di Piacenza nel 1988 con il M° Mauro Storti; ha scoperto il flamenco nel 1994, iniziando prima come autodidatta e poi perfezionandosi con il M° Gaudenzio Gazzola. Dal 1997 si reca regolarmente in Andalusia, studiando con grandi maestri come Antonio Jero, F. Moreno, Jesús Álvarez, Alfredo Lagos, Pascual De Lorca, El Falo, J. Guerrero, A.Martinez e O.Lago. Affianca all’attività concertistica, sia come solista che in ensemble, un’intensa attività didattica. Dà lezioni private di chitarra e accompagna regolarmente le classi di flamenco presso “Il Mosaico Danza” a Milano e in molte altre realtà su tutto il territorio italiano. Dal 2001 propone corsi e stage sulla teoria e ritmica, del flamenco, diventando uno dei pionieri in Italia a introdurre queste discipline in maniera strutturata. È personaggio di spicco in Italia nell’accompagnamento del baile e del cante para baile; ha collaborato con le principali compagnie italiane (Juncales, Lunares, Flamenquevive) e con artisti spagnoli di rilievo (M. Espino, A. Muñoz, María Martín López, Antonio Castro “Antoñete”, Cecilia Lozano “la Popi”, Milagros Ventura, Jeromo Segura, Antonio Mejiías e molti altri). Ha accompagnato ballerini come Javier Barón, Miguelangel Espino, Angel Muñoz, Rafael Campallo, Adela Campallo, Isabel Bayón, Ángel Atienza, Rafaela Carrasco ed altri durante stages ed attività didattiche. Nel 2005 ha partecipato al Festival di Flamenco di Roma, esibendosi all’Auditorium progettato da Renzo Piano al fianco di artisti di primo piano del panorama italiano. A Milano organizza serate dedicate al flamenco dal 1998, nelle quali hanno partecipato quasi tutti gli artisti di spicco del panorama italiano ed alcuni artisti spagnoli, offrendo spazio anche agli allievi non professionisti; un punto di riferimento per gli aficionados lombardi.

Carlos Guillén

Carlos Guillén Miranda è un cantaor flamenco nato a Mairena del Alcor, nella provincia di Siviglia, una vera culla di questa arte. Fin da bambino ha mostrato un talento naturale per il cante e ha studiato inizialmente con Juan Antonio Ramírez. Nel 2015 ha iniziato un percorso formativo di alto livello presso la prestigiosa Fundación de Arte Flamenco Cristina Heeren di Siviglia, dove ha perfezionato le sue doti vocali sotto la guida di maestri come Calixto Sánchez, Juan José Amador, Jeromo Segura, María José Pérez e Rosy Navarro. Nel 2017 ha ottenuto il diploma come Monitor Auxiliar di cante, avviando collaborazioni con compagnie di baile (tra cui Maria Serrano e Javier Barón) e esibendosi nei tablaos di Siviglia e in altre città spagnole. Nel 2021 ha vinto il primo premio giovani al prestigioso concorso Ciudad de Vejer, un riconoscimento che evidenzia la sua capacità interpretativa e la sua crescita artistica. A livello educativo, Carlos coniuga la pratica con l’insegnamento, facendo tesoro dei suoi studi, della sua passione per il flamenco storico e per la storia del flamenco e della musica in generale, con una pedagogia molto efficace che aiuta gli allievi a capire profondamente il messaggio: tiene corsi di cante e cultura flamenca sia alla Fundación Cristina Heeren sia, dal 2018, a Milano presso Il Mosaico Danza. Parallelamente, è laureato in Flamencologia al Conservatorio di Córdoba, dimostrando un impegno profondo sia sul fronte pratico che teorico. Il suo stile si distingue per una forza espressiva intensa, capace di spaziare tra emozioni profonde – dalla dolce malinconia alla gioia più vibrante, dalla sensualità alla potenza drammatica. Lo stesso Carlos si definisce “una persona comune e semplice” che trova nel flamenco il mezzo attraverso cui esprimere autenticamente sentimenti e stati d’animo, credendo fermamente che l’arte ci renda umanamente unici. In definitiva, Carlos Guillén Miranda emerge come una delle voci più promettenti della sua generazione: unisce talento vocale, formazione raffinata, esperienza concertistica, riconoscimenti prestigiosi e una dedizione al sapere pedagogico e accademico, rendendolo una figura di riferimento per chi aspira ad approfondire il cante flamenco.

Josué Segura

Josué Segura, classe 2005, nato e cresciuto a Huelva, vive il flamenco a tempo pieno, come parte della quotidianità. Si è formato dalla Escuela de Cante Arcángel (dai 3 ai 6 anni) a quella dello zio Jeromo Segura (dai 6 anni a oggi), nel 2023/24 ha frequentato il corso di avviamento professionale al cante della rinomata Fundación Cristina Heeren di Siviglia. Riconosce come suoi maestri Arcángel, Rafael Prada, Jeromo Segura, Manuel Romero e Jesús Corbacho. Cresciuto nell’arte grazie al suo maestro e zio, Jeromo, ha partecipato a concorsi di fandango a Huelva, cantato in peñas storiche (Almonte, Moguer, Mairena del Alcor, Lepe, Sevilla…) e nel 2024 è stato l’unico cantaor in tourneé in Messico con José Montes, Cristina Remachó e Álvaro Espina. Ha condiviso il palco con artisti di primo piano come Enrique “El Extremeño”, Nano de Jerez, Fuensanta La Moneta, Salvador Gutiérrez, Manuel De La Luz, “El Choro”, “El Cabeza”, Antonio Gámez, María Canea. Ora canta nei tablaos di Siviglia e Malaga (Teatro Flamenco Sevilla, Teatro Flamenco Málaga, Casa de la Memoria, Tablao Los Gallos, Palacio Andaluz). “Da quando sono venuto al mondo, ho respirato e vissuto il flamenco ventiquattr’ore al giorno. Nel corso della mia vita, ho avuto la fortuna di avere una persona nella mia famiglia che si è dedicata a quest’arte: mio zio e maestro, Jeromo Segura. Grazie a lui, a tanto impegno e alla costanza, sono riuscito a compiere passi che mai avrei pensato di poter raggiungere. In giovane età ho avuto la fortuna di accompagnare artisti di fama, e ancora oggi continuo a formarmi e ad apprendere da quest’arte meravigliosa, dalla quale non si smette mai di imparare.” - Josué

Emanuela Baldi

Emanuela Baldi è una musicista a tutto tondo: canta con doti vocali eccezionali, suona piano e violino, ha un senso del ritmo fuori dal comune e una memoria musicale davvero prodigiosa. Cresciuta a Salerno, ha respirato musica sin da bambina grazie alla madre, Silvana Noschese, insegnante di canto e direttore corale, che le ha trasmesso incrollabili strumenti tecnici e la ha aiutata a coltivare una potente sensibilità espressiva fin dalle prime note. La sua poliedricità emerge subito: giovane e versatile, si presenta sul palco di Musica Controcorrente nel 2015 con la canzone “Post it”, rivelando una personalità interpretativa già solida. Da sempre appassionata anche alla danza, coltiva la musicalità anche attraverso il corpo. Dal 2024 si appassiona al baile flamenco che studia con Sabina Todaro con dedizione e con risultati sorprendenti. Ciò che colpisce di lei è l’espressività acuta e profonda: ogni frase musicale vibra di emozione, ogni gesto svela una capacità comunicativa rara. La sua musicalità non è solo tecnica, ma esperienza condivisa, capace di coinvolgere e lasciare il segno. Con un talento naturale e una formazione solida, Emanuela ha tutte le carte per costruire un percorso artistico eclettico, che può spaziare dal concertismo al cantautorato, dal lavoro individuale alla collaborazione didattica. Il suo profilo – fluido, emozionante, autentico – suggerisce un futuro artistico ricco di evoluzioni: se sceglierà di incidere brani, far emergere nuove performance live o dedicarsi alla formazione, sarà senza dubbio una voce da seguire. Al Mosaico, siamo tutti suoi fans!

Alessandro Longhi

Alessandro Longhi ha studiato flauto al Conservatorio di Milano e si è diplomato in direzione d’orchestra presso l’Accademia Internazionale della Musica di Milano. Ha collaborato con importanti orchestre italiane, tra cui quella del Teatro alla Scala di Milano,della Fenice di Venezia, dell’Opera di Genova, I “Pomeriggi Musicali” di Milano, l’Accademia Bizantina di Ravenna, l’Orchestra Arturo Toscanini di Parma, l’Orchestra Verdi di Milano, la Filarmonia Veneta e Orchestra della RSI. Parallelamente alla carriera classica, Longhi ha aperto le porte al flamenco: è stato membro della compagnia La Morería, con la quale ha suonato al fianco di artisti come Manuel Santiago, Daniele Bonaviri e Ruben Diaz nei principali teatri italiani. Questa esperienza ha coesistito con tournées in Cina, Giappone, Indonesia, America, Africa e i principali palcoscenici europei. Attualmente riveste il ruolo di Primo Flauto presso la Camerata Ducale di Vercelli, affiancando l’attività concertistica a quella didattica, divulgando la cultura musicale in aula e nelle sale da concerto. L’approccio al flamenco arricchisce la sua espressione artistica: considera la musica un linguaggio diretto e immediato, capace di rivelare tutte le sfaccettature dell’anima. Con il flauto interpreta stati emozionali intensi – dalla nostalgia all’estasi – in sintonia con l’anima più autentica del flamenco. È attivo anche sul fronte della didattica del flamenco: insegna – integrando teoria e pratica – e coltiva una visione orientata al futuro della disciplina, vicina alla visione pedagogica del Mosaico Danza, basata sul corpo e le neuroscienze.

Sebastiano Sempio

Sebastiano Sempio è un versatile batterista e percussionista italiano, specializzato nell’utilizzo del cajón, con uno stile che spazia dal flamenco al jazz latino. Da anni è presenza regolare nei contesti milanesi, come le serate “Noche flamenca” organizzate da La Scighera, dove porta la sua sensibilità ritmica per creare atmosfere autentiche e coinvolgenti. La sua carriera si è sviluppata attraverso performance di alto profilo, costruite intorno alla contaminazione tra generi: dal latin jazz al flamenco puro, il suo approccio unisce precisione tecnica ed energia emotiva. In eventi di stampo latin, jazz e pop si esibisce come batterista e percussionista con palpitante intensità, proponendo set che fondono sonorità calde e ritmi travolgenti. Collabora inoltre regolarmente con Il Mosaico Danza e altre realtà milanesi, contribuendo a spettacoli come “Con todos los Sentidos” e “Sin raíces no hay alas”, dove il suo apporto percussivo sostiene ensemble numerosi e coreografie complesse. In questo contesto, il suo tocco diventa motore ritmico per cantanti, chitarra, flauto e baile, offrendo una base pulsante per l’espressività dell’intero gruppo. Nel flamenco, il suo ruolo è quello di facilitatore del duende: con il cajón, Sebastiano riesce a evocare tensione, complicità e intensità emozionale, mettendo in luce lo spazio tra sacro e terreno che il flamenco esplora. Il suo stile, dall’impronta moderna e raffinata, resta sempre fedele al respiro ancestrale del ritmo, capace di emancipare ascoltatori e interpreti verso un dialogo sincero tra tradizione e innovazione.

Ivana Zanini

Ivana Zanini, da sempre appassionata di flamenco, prima di baile poi di cante, è una cantaora italiana di flamenco, originaria di Merano, che si è distinta per la sua dedizione e passione verso quest’arte. La sua formazione musicale l’ha portata a studiare con il rinomato cantaor Jeromo Segura, seguendo un percorso che l’ha vista viaggiare frequentemente tra Merano, Milano e Huelva, in Andalusia, per approfondire le sue competenze nel cante flamenco. Nel corso della sua carriera, Ivana ha partecipato a numerosi spettacoli e collaborazioni. È stata protagonista in eventi come “Intención en Acción” nel 2024 e “Con Todos Los Sentidos” nel 2023, entrambi organizzati dalla scuola Il Mosaico Danza di Milano, diretta da Sabina Todaro. In queste occasioni, ha condiviso il palco con artisti di rilievo come Jeromo Segura, Carlos Guillén e con Antonio Porro, Alessandro Longhi e El Botella, contribuendo con la sua voce e le palmas. La sua presenza è stata apprezzata anche in altri contesti, come lo spettacolo “Todo El Mundo” a Brescia nel 2022, dove ha collaborato con Marco Perona alla chitarra e Francesco Perrotta alle percussioni. Inoltre, ha partecipato e anche organizzato personalmente eventi culturali a Merano, come la “Noche de Tablao Flamenco”, esibendosi accanto ad artisti del panorama flamenco italiano. La sua dedizione al flamenco e la costante ricerca di perfezionamento la rendono un esempio di come il flamenco possa essere una forma d’arte senza confini, e che si possa amarla profondamente a prescindere dalle proprie origini culturali.